La ricetta di Carlo Cottarelli per traghettare l’Italia fuori dalla crisi è semplice, ma forse proprio per questo non viene seguita: “Riforma della burocrazia, della giustizia civile, taglio delle tasse con il recupero dell’evasione fiscale e taglio del debito con l’aumento dell’avanzo primario. Un vero governo del cambiamento si concentrerebbe su questi punti – dice l’ex commissario per la spesa pubblico -, anziché agire come fossimo nella prima repubblica aumentando la spesa pubblica. Basti pensare che per non far aumentare l’Iva e finanziare quota 100, il deficit per il 2020 è già al 3,5%”.

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Insomma, se l’Italia è in crisi non è solo colpa della politica (che di responsabilità ne ha parecchie), ma anche degli italiani che vogliono meno tasse, ma appena possono evadono il fisco; gli stessi che si lamentano degli sprechi della pubblica amministrazione, ma nei fatti votano chi promette più spesa pubblica. “Se gli italiani non cambiano, non c’è nulla da fare. La riforma Fornero è stata l’unico reale taglio alla spesa pubblica, ma il governo Monti pagò un prezzo altissimo. Sia in termini politici che personali” dice l’economista dal Salone del Risparmio: “I tagli sono una scelta politica, ma da soli non bastano. Il debito pubblico sarebbe potuto calare molto tra il 2010 e il 2017, ma invece si è scelto di usare, sbagliando, l’avanzo primario per altre cose dagli 80 euro all’abolizione della tassa sulla prima casa. Fu un errore grave, perché in quel periodo le spesa pubblica rimase invariata”.

Cottarelli non coltiva ambizioni politiche – pur sapendo che alla prossima crisi, il premier tecnico potrebbe essere proprio lui -, “preferisco fare il divulgatore. Mi illudo che spiegando la reale situazione, politici ed elettori possano capire quali sono le cose che davvero servono al Paese”.

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“Bisogna smantellare la burocrazia – dice Cottarelli -. Ogni anno le Pmi spendono 35 miliardi di euro solo per riempire dei moduli e non costo non viene conteggiata la perdita di tempo. Dobbiamo riformare la giustizia: in Italia bisogna aspettare 7 anni per una sentenza definitiva, in Germania e Spagna poco più di due anni per forza attraggono più investimenti e sono più competitivi di noi. E poi le tasse: vanno tagliate, ma non certo con l’aumento del deficit. Servono risorse certe e durature perché il taglio sia credibile e strutturale. Io comincerei dall’evasione fiscale che vale 130 miliardi di euro, più del doppio di quello che spendiamo in istruzione”.

L’ex funzionario del Fmi conosce bene i problemi dell’Italia e non si preoccupa di ammettere che qualcosa con l’euro non abbia funzionato: “Abbiamo gestito male il passaggio alla moneta unico, da 20 anni il reddito pro capite è fermo, abbiamo perso competitività nei confronti di tutti i grandi Paesi europei proprio mentre perdevamo la possibilità di svalutare la nostra moneta. A questo si sono aggiunti bassi tassi d’interesse: con una stretta fiscale avremmo potuto compensare l’eccesso di liquidità invece abbiamo fatto proprio il contrario”.

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Per entrare nell’euro, l’Italia portò il proprio avanzo primario al 5%, ma una volta nella moneta unica i cordoni della borsa sono stati allentati immediatamente: l’avanzo è sceso al 2% in cinque anni (“soprattutto per colpa degli aumenti salariali nel pubblico impiego”) e tra il 1999 e il 2008 il nostro export è rimasto fermo, mentre la Germania è cresciuta del 70%. Abbastanza perché il Pil rallentasse e il debito tornasse a salire così “quando la crisi greca ha fatto cadere il dogma dell’irreversibilità dell’euro i Paesi più forti hanno messo sotto pressione quelli con più squilibri. Come l’Italia”. Tradotto: la convinzione che uscire dall’euro avrebbe aumentato la competitività del Paese ha spinto verso le stelle lo spread. “Non fu una congiura internazionale – spiega Cottarelli -, ma il rendimento chiesto dai mercati per il rischio che noi lasciassimo la moneta unica. Di certo, una volta entrati nell’euro abbiamo commesso molti errori perdendo l’occasione di sistemare i conti pubblici”.

L’esempio preferito dall’economista è quello del Belgio che tra il 1993 e il 2007 ha ridotto il debito pubblico di 50 punti con un avanzo primario medio del 4%, “noi, invece, appena i tassi sono scesi siamo tornati a spendere”. L’Europa però non è esente da responsabilità: “Quando Monti varò la sua manovra, la Bce avrebbe dovuto tagliare immediatamente i tassi, invece, passarono diversi mesi, troppi. Il conto per l’Italia fu enorme. E adesso sono preoccupato per il futuro. Non mi auguro una crisi e non credo a una manovra bis, perché i conti si faranno in autunno, ma se l’Europa entrasse in recessione saremmo i primi a pagarne le conseguenze. Il nuovo presidente della Bce potrebbe essere meno attento e far scontare all’Italia la responsabilità di non aver messo i conti in ordine quando i tassi erano bassi e l’economia cresceva. Peggio, se dovessimo chiamare la Troika, le pressioni per una patrimoniale o una ristrutturazione del debito sarebbero enormi. Come le loro conseguenze”.

Fonte Business Insider Italia