ARTICOLO MAGGIO

LO STATO DI EMERGENZA E’ FINITO E’ TEMPO DI BILANCI

Lo scorso 31 marzo è terminato lo stato di emergenza proclamato a seguito della crisi sanitaria da COVID-19: l’occasione per una prima riflessione sulla comunicazione istituzionale e (non) durante i due anni di pandemia

Il 31 marzo 2022, 767 giorni dopo l’istituzione delle prime zone rosse (23 febbraio 2020), è ufficialmente terminato lo stato di emergenza legato alla pandemia di COVID-19. Con l’ausilio del modello crisis emergency risk communication (CERC) è possibile effettuare una prima riflessione rispetto alla comunicazione istituzionale e non adotta a livello nazionale in questi 767 giorni.

Il modello CERC, sviluppato nel 2005 da Barbara Reynolds, consulente senior per le comunicazioni e le crisi del Center for Disease Control and Prevention, organismo di controllo della sanità pubblica negli USA, permette di individuare alcune linee guida rispetto alla comunicazione istituzionale in una situazione di emergenza, e si struttura in 5 fasi:

1. Nella fase di pre-crisi le attività di promozione della salute e di comunicazione del rischio sono opportune sia per educare il pubblico su potenziali minacce sia per sensibilizzarlo nell’assunzione di comportamenti mirati a ridurre il rischio.

3. Durante la fase di crisi iniziale gli obiettivi e le strategie della comunicazione cambiano in funzione dei destinatari da raggiungere: le persone direttamente coinvolte o il pubblico in generale. È necessario dunque fornire informazioni chiare, veritiere, accurate, pertinenti e soprattutto tempestive, che permettano di comprendere ciò che sta accadendo e di assumere comportamenti adeguati.

3. Nella fase di mantenimento occorre fornire aggiornamenti continui sulla crisi e informazioni su come ridurre i rischi; raccogliere i commenti delle persone direttamente coinvolte e correggere incomprensioni, voci o fatti poco chiari. È altresì utile essere preparati a rispondere ai media in merito agli eventuali sviluppi inaspettati dell’evento, a fraintendimenti o false notizie. In questa fase il controllo sul flusso di informazioni può essere garantito grazie a uno stretto coordinamento tra i membri del gruppo di crisi e al monitoraggio delle attività di comunicazione.

In queste prime tre fasi è necessario prestare una particolare attenzione verso coloro i quali non sono direttamente colpiti dalla pandemia, ma hanno alti livelli di ansia, e sono facilmente influenzabili, definiti in letteratura come worried well. Bisogna tenere a mente, infatti, che i rischi per la salute collegati a questo genere di situazioni sono spesso sconosciuti alla maggior parte della popolazione, in quanto collegati a malattie e sintomi che si verificano di rado nel mondo occidentale. Questa generale mancanza di familiarità può comportare un aumento del rischio percepito dal grande pubblico poiché questo tende a semplificare i messaggi ricevuti dalle autorità competenti. Pertanto, senza informazioni adeguate sulla natura dell’evento e sul rischio che affrontano, i worried well possono sovraccaricare la capacità del sistema sanitario esistente.

4. Durante la fase di risoluzione viene data comunicazione delle misure prese ed è necessario rispondere in merito a: cause della crisi, responsabilità e adeguatezza dei provvedimenti adottati. Questo è anche il momento in cui rafforzare i messaggi di promozione della salute e di sicurezza pubblica.

5. Nella fase di valutazione, attraverso un processo di consultazione degli organi preposti alla risoluzione della crisi, vengono discusse e condivise le lezioni apprese, analizzate le modalità di applicazione del piano di comunicazione, intraprese azioni specifiche per migliorare la capacità di risposta alla crisi e attività comunicative correlate.

In anni più recenti la necessità di sviluppare tecniche efficaci e utilizzabili anche nel contesto europeo ha spinto diversi autori ad approfondire lo studio di metodi comunicativi in situazioni di rischio.

Nel 2009 lo studio del professor Vincent Covello evidenzia come in condizioni di bassa preoccupazione da parte dei cittadini, il fattore più importante per determinare la fiducia sia la percezione della competenza della fonte. Invece, in condizioni di elevata preoccupazione diventa determinante, oltre la capacità di ascoltare e di mostrare empatia, anche la capacità di rendere conto delle proprie azioni, l’impegno e l’imparzialità, mentre la competenza o l’expertise risultano meno rilevanti.

Da ciò si deduce come nelle situazioni più critiche sia fondamentale che il comunicatore istituzionale trasmetta empatia, intesa come mettersi nella posizione del proprio interlocutore.

Infine, è opportuno citare il Documento guida di comunicazione del rischio ambientale per la salute, pubblicato nel 2018 dalla dottoressa Paola Angelini, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Padova, e dalla dottoressa Monica Soracase, membro dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna. Nello studio viene illustrato in modo puntuale come comunicare numeri e statistiche in situazioni di crisi, sottolineando come il grande pubblico ha spesso difficoltà nel comprendere informazioni che si riferiscono a probabilità, stime e percentuali. Inoltre, vengono messi in risalto alcuni termini critici e facilmente fraintendibili: “prevalenza”, “incidenza”, “esposizione”, “rischio relativo”.

Nel comunicare i rischi per la salute le informazioni numeriche, pur dovendo essere limitate e spiegate in maniera efficace, possono aiutare significativamente la comprensione e il cambiamento dei comportamenti. I consigli pratici da mettere in atto sono i seguenti:

  • considerare che ogni informazione può essere presentata o in termini positivi (guadagno) o negativi (perdita). Il contenuto informativo rimane invariato, mentre a cambiare è la cornice (effetto framing), ovvero la struttura e la forma del messaggio. L’uso del frame di perdita appare più efficace nel promuovere comportamenti finalizzati a controllare lo stato di salute, mentre il frame di guadagno nel promuovere comportamenti di prevenzione;
  • fornire i numeri e spiegarli, soprattutto se ci si trova di fronte a un pubblico non esperto, preferendo l’utilizzo, quando possibile, di frequenze e valori assoluti (casi);
  • evitare di spiegare il rischio in termini puramente descrittivi (ad esempio “rischio basso”), scelta che molto spesso riflette il punto di vista dell’esperto, ma non corrisponde alla percezione da parte del pubblico;
  • esprimere la probabilità utilizzando lo stesso denominatore, ad esempio 40/1000 e 5/1000 anziché 1/25 e 1/200. L’uso di denominatori diversi può creare confusione: qualcuno potrebbe pensare che 1/200 esprima un rischio maggiore rispetto a 1/25, semplicemente per la presenza di un numero più grande al denominatore.

Alla luce di quanto scritto risulta chiaro come le conoscenze relative a come comunicare in situazione di crisi erano e sono presenti, anche a livello nazionale. Purtroppo, guardano indietro, è possibile affermare come queste non siano stata praticamente utilizzate.

È necessario, pertanto, non lasciarsi prendere dall’entusiasmo del “la pandemia è finita, voltiamo pagina”, occorre, invece, oltre a tutte le importanti e necessarie riforme in ambito sanitario e socio-sanitario, sedersi a un tavolo per fare tesoro dell’ulteriore esperienza maturata in questi due anni e implementare un piano di comunicazione che fornisca linee chiare e puntuali su chi debba dire che cosa e in che modo e quali canali utilizzare per comunicare. Questo protocollo dovrà essere utilizzato in futuro non solo da chi governa (ministri, parlamentari, assessori…) ma anche dai giornalisti, e più in generale da tutti coloro i quali hanno fatto e vorranno fare informazione (epidemiologi, virologi, opinionisti…), i quali troppo in molte occasioni durante la pandemia si sono rivelati non all’altezza di una funzione molto importante e che, malauguratamente, è stata troppo sottovalutata e sminuita.

Articolo di Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali