ARTICOLO NOVEMBRE 2021
L’Italia è il paese leader a livello mondiale per la presenza delle scatole nere nelle automobili. Sono utilizzate dalle compagnie assicurative per avere un monitoraggio puntuale del livello di rischio di un veicolo assicurato e calibrare meglio il premio pagato dal guidatore. La questione è che, ancora una volta, l’eccellenza dell’Italia non è dovuta alla virtuosità del paese ma alla vera e propria giungla che ormai caratterizza il settore.
Ma questo primato, e la sua funzione calmierante dei prezzi nelle aree a maggior rischio di incidenti, secondo gli esperti ha ormai raggiunto il massimo della potenzialità e rischia di essere scavalcato dall’innovazione tecnologia applicata al settore dell’automotive.
Questo mentre il legislatore sembra aver ormai rinunciato a fare ordine nel settore e anche a rendere più efficace l’uso delle scatole nere incentivandone la portabilità. Ma andiamo per gradi.

Black box fino al 60% nelle città più a rischio

Il sistema del bonus\malus ha dimostrato di non funzionare, tantomeno l’RcAuto familiare, il cui unico effetto è stato quello di rendere ancora più costoso per un giovane patentato assicurare auto o motoveicolo, come già documentato da «Il Sole 24 Ore». In questo contesto la possibilità di installare una scatola nera consente di ottenere un risparmio significativo rispetto al premio pagato: questa convenienza in Italia si materializza nelle città dove la frequenza degli incidenti è molto elevata e di conseguenza lo è anche il costo della polizza.
Come evidenziato dall’ultimo bollettino Iper Ivass (ottobre 2021) “il tasso di penetrazione della scatola nera è più elevato in alcune province caratterizzate da un livello di prezzi superiore rispetto alla media di mercato: Napoli 54,2% e 559 euro di polizza; Prato 23,5% e 514 euro; Caserta 65,9% e 490 euro”.
Questo a fronte di un costo medio delle polizze di 360 euro in Italia e a un tasso di penetrazione medio del 20 per cento. “Questo fenomeno – prosegue il bollettino -potrebbe indicare una maggiore propensione degli assicurati localizzati nelle province più costose a sottoscrivere contratti che includano la presenza della black box al fine di beneficiare degli effetti positivi sul prezzo per la garanzia Rc Auto”.

Il flop di portabilità e interoperabilità: costi troppo alti

Nei mesi scorsi il Ministero per le Infrastrutture ha proposto 2 decreti con i quali si intendeva fissare nuovi standard per le scatole nere: standard tecnologici e per l’interoperabilità e la portabilità dei dati. Oggi la scatola nera viene fornita dalla compagnia assicurativa con standard scelti dalla stessa e che non sono compatibili con quelli adottati da un’altra compagnia.
Fissare criteri omogeni nelle intenzioni serviva a consentire il passaggio da un’assicurazione all’altra senza dover disinstallare e reinstallare la black box con i relativi costi. L’iniziativa, pur condivisibile, si è arrestata perché introdurre sul mercato questi standard – soprattutto a normativa vigente e con un sistema di bonus malus non più efficace – avrebbe significato aumentare sensibilmente i costi di una scatola nera, che secondo alcune stime sarebbe passato da circa 70 euro a 150-200 euro.
Un simile incremento avrebbe finito per azzerare i vantaggi legati agli sconti sul premio applicato a chi adotta questo tipo di monitoraggio e dunque avrebbe vanificato l’incentivo legato al risparmio.

Il futuro dell’Rc Auto in mano ai big dell’automotive

La diffusione della scatola nera, in ogni caso, ormai sembra aver raggiunto il picco massimo in Italia. Un andamento che si riscontra anche guardando l’evoluzione del tasso di penetrazione dal 2014 ad oggi: siamo passati da una penetrazione media del 12% fino a picchi a ridosso del 23% tra il 2019 e il 2020 per poi scendere al 20 per cento. Ma questo strumento, immesso sul mercato 7 anni fa, potrebbe essere presto superato.
La nuova frontiera arriva dalla tecnologia presente all’interno delle automobili: ormai quasi tutti i veicoli utilizzano sistemi di can bus ideati per gestire la comunicazione dei sistemi di bordo e che, ad esempio, consentono di rilevare i guasti. Questi sistemi raccolgono tutti i dati relativi all’autoveicolo e sono accessibili solo dalla casa madre. Quei dati sono una miniera preziosissima e sono di proprietà del titolare del veicolo: per rendere più efficace il mondo dell’RcAuto la soluzione ideale sarebbe quella di obbligare le case automobilistiche a consentire l’accesso a quei dati, dietro consenso del titolare, alle compagnie assicurative in modo tale da rendere misurabile il livello di rischio.
Ma il mondo dell’automotive al momento non ne vuole sapere: il rischio è che gli stessi carmakers chiedano la cessione dei dati ai clienti nel contratto di vendita e questo darebbe loro la possibilità di sviluppare in proprio il business assicurativo o di cedere i dati a terzi. Nessuno per ora si è preoccupato di andare a disciplinare questo settore, ma molto presto – anche in virtù dello sviluppo della guida assistita – la questione verrà alla ribalta in tutta la sua dirompenza.

di Laura Serafini